CHE COS’È LA SPALLA CONGELATA?

La spalla congelata, nota anche come capsulite adesiva, è stata definita come una condizione patologica di natura misconosciuta che determina una progressiva rigidità a livello della spalla sia per quanto riguarda il movimento attivo che quello passivo.
Oggetto attuale di molte ricerche, il meccanismo patologico alla base di questa problematica sembra essere una infiammazione della capsula mediata da alcune cellule immunitarie e fattori infiammatori, ma sono in corso molti studi per comprenderne appieno i fattori scatenanti.

DA COSA È CAUSATA?

Questa condizione spesso non si correla ad alcun dato nella storia clinica del paziente e gli esami strumentali non riescono a spiegare la progressiva rigidità e il dolore.
La spalla congelata può essere classificata come primaria o secondaria: nel primo caso può essere associata ad altre malattie e condizioni, come il diabete mellito, le malattie della tiroide, il morbo di Parkinson ed alcune malattie cardiache; nel secondo caso la spalla congelata può verificarsi dopo lesioni o immobilizzazione (es. lacerazione dei tendini della cuffia dei rotatori, conflitto subacromiale, tenosinovite del bicipite e tendinite calcifica) o secondariamente a traumi o chirurgie (es. mastectomie totali o parziali).

SEGNI & SINTOMI

I pazienti con spalla congelata descrivono tipicamente una esperienza di insidiosa rigidità della spalla, con forte dolore che di solito peggiora durante la notte e progressiva perdita del movimento di rotazione esterna dell’omero. La spalla congelata spesso progredisce in tre fasi: la fase di “congelamento” (doloroso), la fase “congelata” (adesiva e rigida) e la fase di “scongelamento” (in cui progressivamente si recupera il movimento).

Nella fase di congelamento, che dura circa 2-9 mesi, vi è graduale insorgenza di dolore alla spalla diffuso e ingravescente che in genere peggiora di notte. Con il progredire di questa condizione patologica il dolore va via via diminuendo man mano che si procede verso la fase congelata ma si assisterà progressivamente ad una perdita dei movimenti della articolazione della spalla in tutte le direzioni sia attivamente che passivamente. Questa fase può durare da 4 a 12 mesi. Durante la fase di scongelamento, invece, il paziente sperimenta un graduale ritorno alla libertà di movimento che richiede circa 5–26 mesi per tornare ad una condizione di normalità.

Il termine “spalla congelata” è spesso usato in modo approssimativo e confuso con altre limitazioni della spalla; per questo motivo è importante rivolgersi ad un professionista per avere la giusta valutazione, diagnosi e gestione della problematica.

SPALLA CONGELATA: COSA FARE?

La maggior parte dei casi di spalla congelata viene gestita inizialmente con un approccio educazionale: spiegare la storia naturale della condizione patologica spesso aiuta a ridurre la frustrazione, aumentare la compliance e gestire le paure. All’approccio educazionale ne segue uno medico-farmacologico con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), glucocorticoidi somministrati per via orale o iniezioni intra-articolari e fisioterapia per la gestione del dolore.
Molti esercizi di fisioterapia continuati anche a casa sono come trattamento di prima linea riducendo il dolore e favorendo il ritorno alla funzionalità e al movimento.

I FANS hanno mostrato maggiore efficacia se usati in combinazione con la riabilitazione; così come vari studi sull’utilizzo di iniezioni intra-articolari di corticosteroidi combinati con l’approccio fisioterapico, hanno dimostrato risultati migliori per la gestione di questa problematica.
Tuttavia, è imperativo considerare i sintomi del paziente e lo stadio della condizione prima di decidere quale metodo di trattamento sia il più indicato.

SPALLA CONGELATA: 3 FASI

1^ FASE: Fase di congelamento
In questa fase il dolore è il sintomo principale: il primo approccio consiste nell’eseguire esercizi utili per alleviarlo.
Vengono proposti esercizi di mobilizzazione delicata della spalla all’interno del range tollerato ed applicazioni di calore o ghiaccio che possono modulare l’intensità del sintomo prima dell’inizio degli esercizi: alcune evidenze, infatti, hanno dimostrato una maggiore efficacia degli esercizi di stretching sulla estensibilità muscolare in seguito all’applicazione di calore.
In alcuni casi potrebbe essere utile assumere gli analgesici prima della esecuzione degli esercizi in modo da avere una finestra di tempo in cui il range recuperabile sia maggiore.
Gli esercizi devono iniziare con intervalli di breve durata (1-5 secondi) possibilmente indolori e tale durata può essere aumentata progressivamente a tolleranza del paziente.
In questa prima fase di congelamento è raccomandabile evitare di essere troppo aggressivi con gli esercizi e rispettare il sintomo al fine di non incrementare la reazione infiammatoria presente alla base della patologia.

2^ FASE: Fase congelata
Così come per la fase di congelamento, è possibile proseguire con gli impacchi di calore o ghiaccio per controllare il dolore prima degli esercizi.
In questa fase il dolore inizia a diminuire ma permane la rigidità: è fondamentale quindi eseguire esercizi di stretching rivolti alla muscolatura della parte posteriore della spalla e dei muscoli del torace per poter mantenere il range di movimento disponibile e migliorare la postura per la prossima fase di recupero del movimento.
Si aggiungono inoltre esercizi di rinforzo anche isometrico (ovvero contrazioni che non richiedono il movimento articolare) per mantenere i parametri di forza muscolare senza dolore.

3^ FASE: Fase di scongelamento
Nella fase di scongelamento, il paziente sperimenta un graduale ritorno del range di movimento: è fondamentale riportare la spalla il più rapidamente possibile alla condizione pre-patologica recuperando movimento e forza.
Gli esercizi di rinforzo e mobilizzazione assumono ora un ruolo centrale per ripristinare il benessere di una spalla indebolita e debilitata dopo alcuni mesi di rigidità.

SPALLA “S”CONGELATA: UN SUCCESSO ASSICURATO

Per concludere, la spalla congelata o capsulite adesiva è una patologia sicuramente non pericolosa ma decisamente invalidante che nella maggior parte dei casi trova esito positivo grazie ad un approccio multidisciplinare medico e fisioterapico in cui le esigenze del paziente sono messe al centro.
Solo raramente serve ricorrere ad un approccio chirurgico: solitamente il percorso di recupero è lungo – oltre 6 mesi – ma sicuramente di successo.